Artelio ai consiglieri regionali: «No alla deregulation degli agriturismi veneti»

Si leva alto da Verona il grido d'allarme degli esercenti veneti, che chiedono alla politica regionale di ripensare il nuovo impianto di regolamentazione relativo agli agriturismi. Eletto poco più di un mese fa alla guida di Fipe Veneto, forte di 26 mila unità locali, per un fatturato di oltre 6 miliardi di euro e circa 126 mila occupati con un monte stipendi e salari di 1,2 miliardi di euro, il veronese Paolo Artelio esprime un perentorio "no" alla possibilità di somministrare prodotti non tipici, di fare asporto, consegna e catering.

E tuona: “Si vuole stravolgere la disciplina originaria, con l’effetto di scatenare una concorrenza sleale nei confronti del mondo della ristorazione in un momento oltretutto di grande difficoltà del settore e senza tutelare il consumatore”.

 

La modifica della legge quadro regionale 28/2012 che regola le attività turistiche connesse al settore primario, e in particolare le norme relative agli agriturismi, interessa un comparto economico considerevole che conta circa 1.500 imprese attive nelle sette province, con numeri in costante crescita e un peso rilevante nell’offerta turistica complessiva.

 

Secondo quanto ha appreso Fipe Veneto, la sesta commissione consiliare ha terminato il suo lavoro fissando un tetto massimo al numero di posti letto attivabili in un agriturismo, il riconoscimento anche per le aziende che propongono enoturismo e oleoturismo, nonché la possibilità per gli agriturismi stessi di preparare pasti per asporto e di partecipare a manifestazioni esterne, sagre e fiere che non hanno alcun legame col territorio.

 

La palla ora è in mano alla terza commissione consiliare, dove, auspicabilmente, dovrà essere affrontato anche il tema della percentuale massima di prodotti tipici e a “chilometro zero” che potranno essere somministrati al pubblico.

 

"Esprimiamo la netta contrarietà all’orientamento che si va assumendo, confermando in toto le gravi criticità già rilevate, nei giorni scorsi, anche da Confturismo-Confcommercio", fa presente Artelio.

 

In merito alla possibilità di aumentare, in sede di preparazione dei pasti, la quota di prodotto non aziendale – non realizzata, cioè, direttamente dall’azienda agricola – Artelio è particolarmente preoccupato: “Una parte di materie prime acquistate sul libero mercato, che già oggi arriva al 35% del totale, potrebbe venir alzata ulteriormente, per arrivare al 50%. Ma non solo. Si ipotizza che mentre per metà prodotto si debba utilizzare materia prima aziendale, per la restante metà sembra si potrebbero acquistare prodotti dalla grande distribuzione e da aziende artigianali ubicate in Regione. Questo non può andare bene".

 

"Oltre a utilizzare metà materie prime non proprie – puntualizza Artelio – in questo modo si aprirebbe alla possibilità di rifornirsi, per un 50%, da aziende artigianali venete senza tuttavia specificare che il prodotto debba essere della nostra regione. Va da sé che verrebbe meno la reale mission degli agriturismi, che da sempre tengono alta la bandiera del legame col territorio e dell’offerta di prodotti genuini a chilometro zero".

 

Secondo l’associazione dei pubblici esercizi del Veneto, occorre allinearsi ad altre regioni quali Toscana, Emilia Romagna e Lombardia dov’è espressamente previsto che il prodotto, e non solo l’azienda fornitrice, sia di origine o di tradizione regionale.

 

“Siamo a favore – prosegue Artelio – dell’obbligo di indicazione nel menù dell’origine delle materie prime utilizzate, come necessaria e corretta trasparenza nei confronti dei consumatori, informazione di cui in molte aziende agrituristiche non c’è traccia. Diversamente si spianerebbe la strada alla proliferazione dei cosiddetti “falsi agriturismi”, attività commerciali a tutti gli effetti, assimilabili ai tradizionali ristoranti e trattorie, che rispetto a questi ultimi beneficiano di importanti vantaggi fiscali. Andrebbe in questa direzione anche la possibilità di svolgere attività di vendita per asporto e consegna a domicilio dei propri prodotti: servizi che con l’agricoltura non hanno nulla a che vedere. Anche la partecipazione a manifestazioni esterne, sagre e fiere non tipicamente legati al territorio, comporterebbe confusione e sovrapposizione dell’attività ristorativa dell’agriturismo a quella del pubblico esercizio". Insomma, "serve maggior chiarezza e rispetto dei ruoli”.

 

Altro tema importante, quello dei controlli, finora decisamente insufficienti: “Auspichiamo – incalza Artelio – che venga individuato un Ente deputato dotato di risorse umane dedicate che tuteli il consumatore affinché quanto viene proposto in menù sia effettivamente un prodotto regionale a tutti gli effetti e non un fac-simile di origine sconosciuta. Soltanto così le aziende agrituristiche si potranno configurare come attività complementari alle aziende agricole, espressione di vera offerta turistica di stampo rurale e non concorrenti sleali di ristoranti e trattorie”.

 

Per questo, Artelio lancia un appello ai consiglieri regionali veronesi affinché si facciano portavoce delle istanze della categorie degli esercenti "reduci da due difficilissimi anni a causa della pandemia e ora alle prese con le gravi conseguenze legate al boom dei costi delle materie prime, dell'energia oltre che all'impennata dell'inflazione che riduce e ridurrà sempre più i consumi non essenziali".

 

“Nessuno proibisce di fare il ristoratore e il commerciante ma si utilizzino le norme che ristoratori e commercianti hanno l’obbligo di rispettare: stesso mercato stesse regole!", conclude Artelio.




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