CERNOBBIO 2016: RIPRESA, MANCA IL CAMBIO DI PASSO

"Lo 0,8 di crescita del Pil italiano a fine 2015 è troppo poco. Se lo scorso anno c'è finalmente stata una crescita del Pil e dell'occupazione, il minimo che si potesse raggiungere era infatti l'1% di previsione indicato da Confcommercio giusto un anno fa". 

 

Così il responsabile dell'Ufficio Studi di Confcommercio, Mariano Bella, commentando i dati contenuti nel "Rapporto sulle economie territoriali", la cui presentazione ha inaugurato la tradizionale due giorni della Confederazione in riva al lago di Como alla presenza di numerosi esponenti del Governo Renzi. Ai lavori di Cernobbio 2016, che ha chiuso i battenti domenica 20 marzo, ha preso parte anche il presidente di Confcommercio As.Co. Verona Paolo Arena, componente la Giunta nazionale.

"Sgombriamo subito il campo dalle previsioni: Confcommercio per il 2016 prevede una crescita dell'1,6%, sostenuta dai consumi (+1,4%) e dagli investimenti (+1,6%), grazie a prospettive di breve periodo che restano favorevoli anche se sono crescenti i rischi al ribasso della previsione. Mentre la deflazione appare più un pericolo teorico che una reale minaccia".

 

Una crescita affatto eccezionale, insomma, tanto più che anche proiettandosi al 2017 la situazione cambia davvero poco (Pil a +1,6%, consumi a +1,7%, investimenti a +3,7%). E allora – e qui è sta la "ciccia" del Rapporto del Centro Studi – bisogna domandarsi perché l'Italia è incapace di cogliere le opportunità del contesto economico favorevole e perché è così lenta nell'approfittare delle riforme così faticosamente approvate. La risposta è semplice: il Paese è schiacciato ancora da gravi difetti strutturali che non sembrano in via di aggiustamento. Si chiamano deficit di legalità e di accessibilità logistica, eccessi di carico fiscale e di burocrazia, scarsa qualità del capitale umano e agiscono in modo particolarmente sfavorevole in diverse regioni meridionali. Le cifre della crescita, dunque, alla fine sono una media tra il contributo di alcune regioni dinamiche – come la Lombardia e il Nord-ovest - e di regioni ancora in recessione, come la Calabria, o a crescita nulla, come diverse aree del Mezzogiorno".

 

Per il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, "i segnali di ripresa che dovevano concretizzarsi lo hanno fatto solo in parte: è mancato il cambio di passo. In Europa, e soprattutto in Italia, la partita della crescita è ancora tutta da giocare".

"Parliamoci chiaro – ha sottolineato Sangalli - va bene il cortisone di Draghi, e meno male che c'è, ma abbiamo bisogno di terapie specifiche che dipendono solo da noi". Confcommercio, tuttavia, "vuole conservare una quota di cauto ottimismo, perché abbiamo tutte le carte per trasformare nei prossimi mesi questa ripresa in una crescita concreta e diffusa" e "crede possibile uno scatto in avanti lungo la strada delle riforme, del taglio alla spesa pubblica improduttiva, della riduzione degli eccessi di burocrazia, della riduzione delle imposte: sono queste le condizioni del nostro moderato ottimismo che ci portano a prevedere un Pil a +1,6% per il 2016".

 

Ma in questo senso è essenziale, ha detto Sangalli, che "il governo affronti e risolva i problemi strutturali dell'Italia, che si acuiscono a causa dei ritardi e dei divari regionali del nostro Paese. Ci sono aree dell'Italia che non crescono perché scontano da troppi anni due deficit, legalità e infrastrutture, e due eccessi, burocrazia e carico fiscale". Come il Mezzogiorno, che "continua a perdere peso in termini di abitanti, lavoratori e reddito e registra un ridimensionamento dei fattori di produzione". Il problema, comunque è dell'intero sistema-Paese che "sconta una mancanza di competitività e una perdita di produttività complessiva. Gli eccessi e i deficit strutturali del nostro Paese – ha detto ancora il presidente di Confcommercio - costano a ciascun cittadino 3.800 euro l'anno".

 

Il Governo ha certo fatto "passi importanti nella giusta direzione" (Sangalli ha citato la riforma della pubblica amministrazione, l'impegno di ridurre i carichi burocratici sulle imprese, alcune misure contenute nel Jobs Act e nella riforma della scuola e la politica fiscale distensiva), ma non basta. Perché "la spesa pubblica corrente nel 2015 si è ridotta soltanto per effetto del minor costo per interessi" e perché negli ultimi venti anni la pressione fiscale è passata dal 40,3% al 43,3%. "Ridurre il carico fiscale su imprese e famiglie - ha concluso Sangalli - è e resta la priorità. Meno spesa pubblica e meno tasse rimane la ricetta per un Paese più dinamico e più equo". Mentre sul versante della crescita occorre "sfruttare l'enorme potenzialità del turismo", che è "una potentissima leva in grado di generare nuova occupazione e maggiore ricchezza".




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